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Esercizio o gestione? Il vero nodo della riforma della Legge Concorrenza in odontoiatria

L’attuale dibattito parlamentare sulle proposte di modifica alla Legge n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), con particolare riferimento al comma 153 dell’articolo 1, ha riacceso l’attenzione sul tema dell’esercizio dell’attività odontoiatrica in forma societaria.
Secondo i proponenti, le modifiche avrebbero l’obiettivo di “tutelare i cittadini dagli abusi delle società commerciali” e “riordinare l’esercizio dell’attività odontoiatrica consentendola soltanto alle società tra professionisti (STP)”. Tuttavia, un’analisi approfondita dell’ordinamento sanitario rivela come tali proposte, pur animate da intenti di tutela, rischino di non produrre alcun effetto sostanziale sull’assetto reale del settore.

Il primo nodo interpretativo, spesso trascurato nel dibattito, riguarda la differenza tra esercizio della professione sanitaria e gestione di una struttura sanitaria. L’esercizio professionale è un’attività intellettuale riservata a soggetti abilitati e iscritti all’Albo (art. 2229 c.c., Legge n. 409/1985), mentre la gestione di una struttura sanitaria è un’attività imprenditoriale fondata, invece, sulla conduzione di un’attività produttiva (di beni o servizi o scambio di essi) svolta in modo organizzato sia del capitale che del lavoro proprio e altrui (art. 2082 c.c.).

Tale distinzione non è un mero sofismo, ma ha profonde conseguenze legislative: la gestione di un ambulatorio odontoiatrico può essere svolta da un soggetto giuridico diverso dal professionista, purché autorizzato ai sensi dell’art. 8-ter del D.Lgs. 502/1992 e s.m.i. e dotato di un Direttore Sanitario odontoiatra responsabile dell’attività clinica.

In altri termini, nessuna società commerciale può “esercitare” la professione odontoiatrica, ma può essere autorizzata a gestire una struttura sanitaria, in cui l’attività clinica sia svolta da odontoiatri abilitati. Confondere questi due livelli significa rischiare di intervenire su un piano normativo (quello dell’esercizio della professione) che non incide sul problema reale (quello dell’autorizzazione sanitaria).

È, dunque, il D.Lgs. 502/1992 e s.m.i., e non la Legge 124/2017, a costituire il vero fondamento dell’attuale sistema: un sistema che già consente una corretta integrazione tra impresa e professione, purché la funzione clinica resti saldamente in mano ai professionisti e la direzione sanitaria eserciti con piena autonomia il proprio ruolo di garante tecnico-etico.

Un presidio sanitario ambulatoriale è una struttura “aziendale” destinata alla diagnostica e/o terapia extra-ospedaliera, in cui esiste una netta e chiara distinzione tra una responsabilità di tipo imprenditoriale (che fa capo all’imprenditore/amministratore), una responsabilità di tipo tecnico-organizzativa (che fa capo al direttore sanitario) ed una responsabilità di ordine professionale (che fa capo all’esecutore della prestazione, ovvero al professionista abilitato). Già nel D.P.R. n. 121/1961 e successivamente nel D.P.R. n.  230/1991 (Norme su Tasse e Concessioni) vi è una nota contenente una definizione di “ambulatori”, quale forma di attività medica strutturata, e per differenza, dei “gabinetti” (studi) medici:

Sono ambulatori gli istituti aventi individualità e organizzazione propria ed autonoma e che, quindi, non costituiscono lo studio privato o personale in cui il medico esercita la professione. Essi presentano le stesse caratteristiche delle case ed istituti di cura che possono essere autorizzati anche a favore di chi non sia medico purché siano diretti da medici. Sono ambulatori anche quelli annessi a case ed istituti di cura medico-chirurgica, allorché vi si erogano prestazioni sanitarie che non comportano ricovero o degenza. Conseguentemente non sono soggetti ad autorizzazione, e quindi al pagamento della tassa sopraindicata, i gabinetti personali e privati, in cui i medici generici e specializzati esercitano la loro professione.

Le regioni, attraverso le proprie leggi e regolamenti (successivamente alla riforma costituzionale del 2001), hanno fatte proprie le previsioni normative del D.Lgs. 502/1992, così come riformato nel 1999, e hanno “costruito” i rispettivi sistemi di autorizzazione e accreditamento, oggi conosciuti, che consentono a singoli imprenditori o società di gestire ambulatori e poliambulatori (e quindi anche ambulatori odontoiatrici), purché conformi ai requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi.

Pertanto, anche un’eventuale restrizione dell’ambito di “esercizio” alle sole STP dell’attività odontoiatrica non inciderebbe su tale impianto: la gestione delle strutture sanitarie resta saldamente in capo all’art. 8-ter del D.Lgs. 502/1992 e s.m.i., che non subirebbe alcuna modifica.

L’attuale previsione dell’art.1 comma 153 Legge 4 agosto 2017, n. 124 – Legge annuale per il mercato e la concorrenza – prevede, infatti, che: “L’esercizio dell’attività odontoiatrica è consentito esclusivamente a soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla legge 24 luglio 1985, n. 409, che prestano la propria attività come liberi professionisti. L’esercizio dell’attività odontoiatrica è altresì consentito alle società operanti nel settore odontoiatrico le cui strutture siano dotate di un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri e all’interno delle quali le prestazioni di cui all’articolo 2 della legge 24 luglio 1985, n. 409, siano erogate dai soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla medesima legge.”

Di fatto, l’intervento proposto se pur legittimo e necessario per correggere una errata formulazione della legge Concorrenza relativa all’esercizio della professione odontoiatrica, rischierebbe di non aggiungere nulla al quadro vigente, senza colmare le vere criticità del sistema, risultando del tutto inefficaci rispetto al vero obiettivo dichiarato: impedire che soggetti puramente finanziari gestiscano strutture odontoiatriche. Le società che oggi gestiscono ambulatori autorizzati non esercitano la professione, ma organizzano e forniscono servizi sanitari, attività pienamente lecita e già disciplinata dalla normativa sanitaria nazionale e regionale.

L’unico punto che, a mio avviso, merita un rafforzamento all’atto pratico è, invece, il ruolo del Direttore Sanitario. Egli rappresenta il presidio tecnico-clinico dell’attività sanitaria e il garante del corretto esercizio della professione all’interno della struttura. Il legislatore nel 2017, imponendo che il Direttore Sanitario fosse un odontoiatra iscritto all’Albo e che non potesse ricoprire più incarichi, ha già riconosciuto tale funzione di garanzia.

Oggi la riforma necessaria e non più procrastinabile dovrebbe consistere nell’accrescimento delle responsabilità e dei poteri effettivi del Direttore Sanitario. Tale figura non ha mai visto un riconoscimento ufficiale da parte del legislatore, che permetta di delinearne la qualifica, le mansioni e la tipologia contrattuale. La necessità di dotarsi di uno strumento oggettivo per poter valutare i compiti e le responsabilità che tale carica comporta, eventualmente attraverso un percorso di formazione specifico e riconosciuto, riuscirebbe forse a svolgere quel tanto auspicato ruolo di garanzia per tutelare concretamente la salute dei pazienti dai possibili abusi delle società commerciali.

A cura di Andrea Gianmarco Tuzio

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